La Storia del Congo
Dalle origini alla fine del Novecento
Se l’Africa è la culla dell’umanità, certificata dal ritrovamento dell’australopiteco Lucy nelle vicinanze dell’attuale Addis Abeba, risalente a 3,2 milioni di anni fa, i primi segnali di insediamenti umani in Congo risalgono ad 80mila anni fa nella zona di Katanda.
Per parlare di un vero e proprio stato congolese, è però necessario attendere il XIV secolo, con il Regno del Congo, prima dell’arrivo dei popoli europei a colonizzarlo. Si alternano così a fasi alterne Portogallo e Paesi Bassi, fino alla metà dell’Ottocento, quando il Belgio comincia il suo devastante predominio.
Inizialmente il re Leopoldo II dichiara l’esistenza dello Stato Libero del Congo, di cui lui stesso assume direttamente il ruolo di monarca dal 1885 al 1908. Dal 1908 al 1960 il Congo diventa ufficialmente una colonia del Belgio. Già sotto la dominazione belga, in Congo vengono perpetrati orrendi crimini e un primo genocidio nei confronti della popolazione congolese, sfruttata soprattutto per procacciare l’avorio prima e nella raccolta del caucciù poi.
Per costringere i congolesi in schiavitù, re Leopoldo ordina l’amputazione degli arti per gli uomini, dei seni per le donne, ma anche i bambini non vengono risparmiati da queste torture: spedizioni punitive contro i ribelli e sistematici massacri nei villaggi. Condizioni di vita e di lavoro al limite dell’umano fanno il resto, causando complessivamente la morte di oltre 10 milioni di persone nel giro di 25 anni di regno di Leopoldo. Un genocidio, riconosciuto ufficialmente solamente un secolo dopo dal re del Belgio Filippo, che ha chiesto ufficialmente scusa per le sofferenze inflitte al popolo congolese.
Il 30 giugno del 1960, contemporaneamente all’indipendenza ottenuta da tanti stati africani dai relativi paesi coloniali, anche il Congo ottiene il riconoscimento della propria, sotto la guida di Patrice Lumumba. La dichiarazione dell’indipendenza del Katanga, le influenze delle multinazionali USA e l’influenza dell’Unione Sovietica, negli anni più duri della Guerra Fredda, portano il Congo in una situazione di caos dal quale emerge il colonello dell’esercito congolese Mobutu, che rovescia Lumbumba, facendolo arrestare e condannare a morte nel 1961.
Dopo un periodo di transizione e di lotte intestine per il potere, gli USA favoriscono l’ascesa al potere di Mobutu, che da colonnello si trasforma in un vero e proprio capo di stato fino al 1996, anno della sua destituzione. Nel 1971 Mobutu ribattezza il Congo con il nome di Zaire, del quale diventa padre e padrone, soffocando nel sangue le rivolte studentesche.
Nel 1996 le forze ribelli, aiutate da ruandesi e ugandesi, portano al potere Laurent Desirè Kabila, dando vita agli ultimi tragici 3 decenni della storia di questo martoriato paese.
Approfondimento: “Africa e Libertà – Congo ’60: un’indipendenza fragile” – Rai Storia – puntata del 30/06/2024
Dal 1996 ad oggi
Gli ultimi 30 anni fanno storia a sé, pur nella continuità della tragedia di un popolo che dura da almeno due secoli.
Fra il 1996 e il 1997 si consuma la Prima Guerra del Congo: sale al potere Laurent Kabila, che restituisce il nome di Congo, levando quello di Zaire.
La pace è destinata a non durare, con la ribellione dei Tutsi nel 1998, che dà vita alla Seconda Guerra del Congo, con Kabila spalleggiato dagli eserciti di Angola, Namibia e Zimbawe. Considerato il coinvolgimento di tutti questi stati, questa viene definita “guerra mondiale africana”, combattuta per assicurarsi il controllo dei ricchi giacimenti di oro, diamanti e soprattutto coltan nelle regioni del Congo orientale, come il Kivu e l’Ituri. Regioni nelle quali da questo momento regna l’attuale instabilità, con la presenza di diverse formazioni di ribelli, la presenza dell’esercito di Kabila, che viene però assassinato nel 2001 dalla sua guardia del corpo e al quale succede il figlio Joseph Kabila.
L’instabilità politica e militare del Kivu diventa una costante che dura fino ad oggi in tutta la regione, ma anche in quella dell’Ituri, per la presenza di diverse bande armate, milizie non governative e ex-militari che, sostenute anche da eserciti ufficiali stranieri, destabilizzano la vita di milioni di persone. Attacchi sistematici a strutture civili e sanitarie causano la fuga e la migrazione interna di grandi masse di popolazione, la creazione di maxi-campi profughi che si trasformano a loro volta in città ai bordi di città come, ad esempio, quella di Goma. In questo periodo di tempo si contano quasi 10 milioni di morti, oltre 7 milioni di profughi e sfollati, centinaia di migliaia di donne violentate per l’utilizzo dello stupro come sistematica pratica di guerra.
In questo clima di totale instabilità, Joseph Kabila viene eletto per la prima volta nel 2006, per poi esser confermato nel 2011, in entrambe le occasioni con tante contestazioni sulla regolarità delle consultazioni elettorali. Joseph Kabila rimarrà al potere fino al 2018, due anni oltre il suo secondo mandato, fino all’elezione di Felix Tshisekedi, a propria volta rieletto nel 2023, anche in questo caso in un clima di totale contestazione sulla regolarità delle elezioni. Nel maggio del 2024 il tentativo di un colpo di stato da parte del dissidente Christian Malanga viene represso nel sangue.
Minerali insanguinati: le ragioni di questa guerra
Il contesto di generale instabilità di questi ultimi 30 anni è dovuto dalla grandissima ricchezza di minerali presenti soprattutto nelle regioni dei Grandi Laghi. Il Congo possiede l’80% delle riserve mondiali di coltan, minerale indispensabile all’industria, aeronautica, aerospaziale, oltre che per il settore dell’elettronica e delle telecomunicazioni.
Il 70% della raffinazione di cobalto è realizzata da aziende cinesi ed è necessario per produrre le batterie al litio utilizzate come alimentazione delle automobili elettriche.
Il controllo di queste zone e l’esportazione sistematica dei minerali attraverso gli stati confinanti da parte dei guerriglieri, alimenta il mercato delle multinazionali del settore, impoverendo la popolazione congolese e arricchendo chi la sfrutta. Il controllo delle miniere risulta fondamentale per giostrare questa economia basata sul sistematico saccheggio delle risorse congolesi.
Se la Repubblica Democratica del Congo fosse libera di gestire autonomamente le proprie ricchezze minerali, ma anche naturali (fiumi e foreste), potrebbe diventare una delle maggiori potenze economiche africane.
Schiavismo moderno
In questi luoghi vengono sfruttati indistintamente uomini, donne e bambini, gli ultimi utilizzati soprattutto per calarsi negli stretti cunicoli nelle profondità delle miniere, per recuperare i materiali preziosi.
Questo a discapito della loro salute: una ricerca condotta dalle Università di Lubumbashi, Lovanio e Gand indica che l’esposizione all’inquinamento tossico di questi minerali (raccolti senza la minima precauzione) provoca difetti congeniti nei figli di minatori di rame e cobalto in Congo. Le uniche donne presenti nelle miniere sono quelle che salgono e scendono con i rifornimenti per i lavoratori e le ragazzine costrette a prostituirsi come vere e proprie schiave sessuali.
Gli stupri di guerra
Alla “normale” violenza generata dalla guerra, si affianca lo stupro come sistematica arma di guerra, un altro modo subdolo e vile per annullare qualsiasi forma di resistenza da parte del popolo congolese, umiliando madri, mogli, figlie e sorelle e frustrando gli uomini incapaci di garantire la loro incolumità.
Secondo i dati diffusi dall’UNHCR sono oltre 10mila le donne che hanno subito questo tipo di barbarie, ma un censimento vero e proprio è impossibile a causa della reticenza alla denuncia da parte delle vittime. Quasi il 70% di questi atti viene compiuto da uomini in divisa militare.
Un raggio di luce e una speranza è rappresentato dal ginecologo Denis Mukwege, definito non a torto l’uomo che ripara le donne. Nella sua clinica nei pressi di Goma, le donne trovano cure fisiche un supporto psicologico. Per la sua opera Mukwege è stato insignito nel 2016 del Premio Nobel per la Pace. Mukwege si è candidato anche alle presidenziali alla fine del 2023, non registrando però il consenso che avrebbe meritato.
I bambini-soldato
In questo contesto di guerra perenne, non è da sottovalutare anche il fenomeno dello sfruttamento di soldati d’età sempre più giovane.
Ragazzini d’età compresa fra 10 e i 15 anni vengono sempre più spesso aggregati alle formazioni para-militari e alle bande armate.
Reclutati, addestrati all’utilizzo delle armi e drogati per esser sovraeccitati durante gli scontri, sono a loro volta vittime di questa situazione di totale instabilità.
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